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Report del 12° Congresso Nazionale SITeCS

 

Nei giorni 5-6 ottobre 2018 si è tenuto a Milano il 12° Congresso Nazionale della Società di Terapia Clinica e Sperimentale (SITeCS). Dopo il successo delle precedenti edizioni, anche il Congresso di questo anno si è aperto con una giornata precongressuale il 4 ottobre, organizzata in collaborazione con SISA (Società Italiana per lo Studio dell'Aterosclerosi) Regione Lombardia, dedicata alla ricerca clinica e di base nell’ambito dell’aterosclerosi, e che ha visto la partecipazione attiva di giovani ricercatori.

Come di consueto, il Congresso Nazionale SITeCS ha dato ampio spazio alle più recenti evidenze emerse nell’area cardiovascolare (CV), ripercorrendo temi chiave, come la gestione dei fattori di rischio o l’utilizzo dei big data, ed esplorando ambiti emergenti, come il microbiota e il suo legame con infiammazione e aterosclerosi, o il ruolo della nutraceutica.

Il congresso è stato occasione di approfondimento su una patologia ad elevato impatto epidemiologico e clinico, quale l’ipercolesterolemia familiare (FH). Le evidenze raccolte in registri nazionali su larga scala, come il database LIPIGEN (LIPid transport disorders Italian GEnetic Network), stanno contribuendo a migliorare le conoscenze scientifiche sulle basi eziologiche della malattia. Accanto all’applicazione di criteri clinici in grado di identificare soggetti con un elevato sospetto di ipercolesterolemia familiare e alla ricerca di conferma genetica attraverso l’analisi dei geni candidati, un ulteriore miglioramento della predittività diagnostica può essere fornito dal riscontro genetico di nuove mutazioni monogeniche, ma anche da nuove prospettive di selezione dei pazienti, tra cui la possibilità di determinare l'ipercolesterolemia poligenica attraverso un'integrata valutazione di singoli polimorfismi.
Un impulso significativo alla diagnosi e alla gestione dei pazienti FH potrebbe venire dal coinvolgimento attivo dei cardiologi: come dimostrato dallo studio POSTER (Prevalence Of familial hypercoleSTerolaemia (FH) in ItalianPatients with coronary artERy disease), le cardiologie si configurano come un setting d’elezione per la diagnosi di FH, essendo la malattia associata ad un incremento dell’incidenza di eventi CV, specie in giovane età; inoltre, la sensibilizzazione di altri specialisti, oltre a quelli che tradizionalmente gestiscono le patologie associate ad alterazioni dei livelli lipidici, consentirebbe di aumentare la consapevolezza collettiva, al fine di garantire un programma assistenziale continuo per i pazienti FH.

Per i pazienti FH, come per i pazienti ipercolesterolemici in generale, la riduzione del colesterolo LDL (c-LDL) resta l’obiettivo primario degli approcci terapeutici; la recente introduzione sul mercato di farmaci in grado di portare a riduzioni molto consistenti della colesterolemia LDL, quali gli anticorpi monoclonali contro PCSK9, ha sollevato perplessità circa gli aspetti di sicurezza associati a livelli tanto bassi di LDL. Sebbene non vi siano ancora dati a lungo termine, quelli a breve termine e le evidenze emerse dall’osservazione di soggetti con livelli geneticamente ridotti di colesterolo LDL non hanno finora mostrato particolari problematiche di sicurezza. Per quanto riguarda il colesterolo HDL, sebbene sia nota la correlazione tra bassi livelli e aumento del rischio cardiovascolare, alla luce dei dati dello Studio REVE-AL, resta da dimostrare l’efficacia dell’innalzamento farmacologico dei livelli di HDL, almeno su una popolazione con concentrazioni basali non particolarmente basse.
La gestione dell’ipercolesterolemia, così come di altri fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione, presenta però alcune criticità. Infatti, non tutti i pazienti che raggiungono gli obiettivi terapeutici suggeriti dalle linee guida internazionali hanno un beneficio in termini di prevenzione CV. Se da un lato è poco verosimile pensare di arrivare ad un rischio residuo uguale a zero, è invece realistico pensare di poter ridurre ulteriormente la probabilità di malattia con un'azione più incisiva sui principali fattori di rischio correggibili, che preveda un approccio tempestivo, comprensivo e personalizzato.

D’altra parte, nonostante l’aumento dei livelli sierici di c-LDL siano la causa più importante nell’insorgenza della patologia aterosclerotica, fattori eziologici e patogenetici, di origine sia genetica che ambientale, possono interagire tra loro in determinati periodi critici della vita, creando i presupposti per la formazione di marker precoci di rischio cardiovascolare. Le alterazioni epigenetiche sembrano svolgere un ruolo chiave influenzando lo sviluppo successivo della struttura e funzione di diversi organi e apparati. Le più frequenti modificazioni epigenetiche nei mammiferi includono la metilazione del DNA e le modificazioni degli istoni, con conseguente cambiamento della struttura della cromatina e del pathway dei miRNA (brevi sequenze endogene di RNA non codificante). I miRNA svolgono un ruolo determinante nella fisiologia e fisiopatologia vascolare sin dalle prime fasi dello sviluppo embrionale. Infatti numerosi studi sperimentali condotti su modelli animali hanno dimostrato il loro intervento nella modulazione di geni coinvolti sia nello sviluppo fisiologico dell’apparato cardiovascolare che nei meccanismi fisiopatologici di malattie cardiovascolari. Date queste premesse, l’epigenetica rappresenta una nuova sfida che potrebbe fornire nuovi marcatori specifici di rischio cardiovascolare e individuare più precocemente i soggetti portatori. Si potrebbero così sviluppare nei periodi critici terapie innovative e specifici interventi nutrizionali precoci per combattere il rapido incremento delle malattie croniche non comunicabili.

Varie relazioni si sono focalizzate sul ruolo dell’infiammazione e sui possibili approcci farmacologici in ottica di prevenzione cardiovascolare. La scoperta dei ruoli del sistema immunitario innato e adattativo nell'aterogenesi ha portato alla comprensione dello sviluppo della lesione e ad una nuova linea di ricerca per le terapie di prevenzione cardiovascolare. Negli studi su topi, il knockout genetico o l’inibizione di singole citochine infiammatorie hanno ridotto il processo di aterosclerosi. Nell'uomo, le evidenze attuali derivano principalmente da studi osservazionali che hanno mostrato una riduzione degli eventi CV tra i pazienti con artrite reumatoide (RA) trattati con metotrexato o con inibitori del tumor necrosis factor (TNF).
Nello studio LoDoCo, la colchicina, dotata di un marcato effetto anti-infiammatorio, testata a basse dosi (0,5 mg/die) su pazienti con arteriopatia coronarica (CAD) stabile si è dimostrata in grado di ridurre l'outcome primario di sindrome coronarica acuta, arresto cardiaco extra-ospedaliero o ictus ischemico non cardio-embolico. A seguito di questi incoraggianti risultati, è stato progettato il Colchicine Cardiovascular Outcomes Trial (COLCOT) per esaminare gli effetti della colchicina a basso dosaggio su eventi cardiovascolari in pazienti con sindrome coronarica acuta. I risultati sono attesi per il 2019.

Nuovi bersagli terapeutici includono l'interleuchina 6 (IL-6), il TNFα e l’interleuchina-1β (IL-1β). Nello studio CANTOS (Anti-Infammatory Antifiammatory Outcomes Study), canakinumab, anticorpo monoclonale contro IL-1β, somministrato a oltre 10.000 pazienti in post-infarto miocardico stabile e con proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP) >2 mg/L, ha ridotto del 15% l’outcome primario di efficacia (infarto miocardico non fatale, ictus non fatale o morte cardiovascolare).

Un altro aspetto che di recente ha suscitato l’interesse della ricerca è il microbiota. Anche se l’impatto del microbiota intestinale sulla salute dell’ospite è ben documentato, i meccanismi con cui tale ecosistema esercita i suoi effetti rimangono ancora in parte oscuri. Alcuni studi hanno dimostrato come possa essere uno dei fattori implicati nel promuovere l’aterosclerosi. Di notevole interesse è il ruolo obbligato del microbiota nella produzione di trimetilamina-N-ossido (TMAO) a partire da carnitina e fosfatidilcolina assunte con la dieta, come osservato in diversi studi su modelli murini e su individui affetti da patologia cardiovascolare. La TMAO favorisce l'accumulo di colesterolo nei macrofagi e, in accordo, è stata riscontrata una relazione positiva tra alti livelli di TMAO ed incidenza di eventi cardiovascolari maggiori. Il coinvolgimento del microbiota nella genesi dei fattori di rischio cardiovascolare suggerisce la possibilità di modularlo al fine di migliorare gli outcome cardiovascolari.

Altro argomento di interesse nel contesto del Congresso è stata la nutrizione. Numerose evidenze sono state raccolte nel tempo sull’effetto di alcuni specifici nutrienti nell’insorgenza di malattie metaboliche e cardiovascolari. Emerge un quadro ancora poco chiaro sotto diversi punti di vista, in una situazione dove è difficile selezionare evidenze scevre da conflitti di interesse o ricavare dati relativi agli effetti di singoli nutrienti dalle raccomandazioni dietetiche. Sono incoraggianti i dati relativi al ruolo che alcuni nutraceutici possono avere nella prevenzione CV. Nonostante solo alcuni composti vegetali come i fitosteroli, alcune fibre solubili (beta-glucani da orzo e avena e pectine), gli estratti di riso rosso fermentato (per la presenza di monacolina K) e gli acidi grassi polinsaturi abbiano superato l’esame dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e possano essere impiegati nella riduzione della colesterolemia, dagli studi più recenti emergono dati promettenti anche per altri nutraceutici con caratteristiche e meccanismi d’azione differenti.

Oltre alle tematiche più strettamente cardiovascolari, il Congresso ha voluto dare spazio a un argomento di recente interesse, quale allo studio della fragilità nel soggetto anziano e al ruolo della disfunzione del midollo osseo. Il midollo infatti è la fonte delle cellule progenitrici che presiedono al riparo ed al mantenimento della omeostasi di tutti gli organi e tessuti. Inoltre è noto che l’esercizio fisico ed interventi nutrizionali mirati hanno un effetto salutare sulle cellule progenitrici midollari. Dimostrare l’associazione tra malfunzionamento del midollo osseo e fragilità consentirebbe di proporre interventi di riabilitazione motoria/nutrizionale, invertendo il circolo vizioso che porta all’inattività, alla mancata forma fisica ed alla disabilità.

Come nelle ultime edizioni del Congresso, sono state discusse le potenzialità dei database amministrativi nella valutazione del valore del farmaco e nell’ottimizzazione della gestione del paziente.

Il congresso ha inoltre ospitato un simposio congiunto AMD (Associazione Medici Diabetologi), SID (Società Italiana di Diabetologia), SISA, SITeCS. La sessione ha discusso le più recenti evidenze in tema di nuovi farmaci antidiabetici. Tra le opzioni terapeutiche, i farmaci incretino-mimetici (agonisti del recettore delle incretine GLP-1) e incretino-amplificatori (o gliptine, inibitori della DPP-4, enzima deputato alla degradazione delle incretine endogene), in grado di stimolare la produzione di insulina da parte delle cellule beta-pancreatiche, portano a benefici che comprendono maggiore sazietà, ridotta motilità gastrointestinale, aumento della secrezione di insulina glucosio-dipendente, riduzione della secrezione di glucagone e diminuzione della produzione epatica di glucosio. Diversamente, le gliflozine (inibitori del Trasportatore Sodio-Glucosio di tipo 2, SGLT-2), agendo sulla proteina SGLT-2 responsabile per l'80%-90% del riassorbimento di glucosio a livello renale, portano alla riduzione dell’iperglicemia attraverso la riduzione della capacità tubulare massima di riassorbire glucosio, con conseguente incremento dell’escrezione urinaria.

Il meccanismo d’azione è indipendente dalla secrezione di insulina ed è complementare a quello di altri farmaci antidiabetici ai quali le glifozine possono essere associate. Nei trial richiesti dalle autorità regolatorie, disegnati per valutare gli effetti cardiovascolari in studi di fase 2 o 3 di non inferiorità vs placebo su pazienti ad alto rischio CV, tre diversi inibitori DPP-4 (saxagliptin nel trial SAVOR-TIMI, alogliptin nel trial EXAMINE e sitagliptin nel trial TECOS) e un inibitore SGLT-2 (empapagliflozin nel trial EMPA-REG OUTCOME) si sono dimostrati sicuri; quest'ultimo perfino superiore alle cure standard, come evidenziato dalla riduzione significativa di mortalità cardiovascolare e di scompenso cardiaco. Per quanto riguarda gli agonisti GLP-1, la sicurezza cardiovascolare di lixisenatide (trial ELIXA), liraglitude (trial LEADER) e semaglutide (trial SUSTAIN-6), è stata testata in studi randomizzati, controllati con placebo; in particolare liraglutide e semaglutide hanno dimostrato la superiorità per l'endpoint primario composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico o ictus. Parallelamente ai risultati delle sperimentazioni cliniche, si stanno raccogliendo evidenze in real-life, che hanno confermato quanto osservato nei trial in termini di efficacia e sicurezza.

 

 

Report 12° Congresso Nazionale SITeCS - 2019